M'impiego ma non mi spezzo
Prendo spunto dal titolo di una mostra fotografica del 2001 che ritraeva le varie realtà negli uffici nel corso di tutto il 1900.
C’erano foto degli anni ’50 e ’60 prese anche dall’Eni, scattate al primo palazzo Snam di San Donato M., con degli open space lunghissimi che da un punto all’altro dell’ufficio ci voleva la bicicletta per percorrerli.
Stavolta non c’è senso di appartenenza. Sono stufa, non ho più voglia di sentirmi appartenere a questo calderone che bolle e fa stracuocere (nel cervello) gli ingredienti che contiene, che poi siamo noi (miseri tapini) impiegati.
Certo siamo forti, perché bene o male resistiamo a tutto qui dentro: mobbing, discriminazioni, crisi d’identità indotte da attività assegnate senza tener presente delle proprie capacità ed attitudini, a cui i più furbi reagiscono con un talento recitativo tale che non fa che aggravare il sintomo di chi, purtroppo, di questo talento naturale non è dotato.
Ma la cosa più pesante da sopportare è l’indifferenza che prevale su tutto e su tutti i rapporti che si intrecciano in ufficio.
In primis l’indifferenza endemica che i capi provano verso le esigenze dei propri collaboratori.
Se per puro caso ed agendo contro corrente, succede che un capo dimostri una certa sensibilità in proposito e prova a mettere in atto un’azione di incentivazione verso i subalterni, subito viene stoppato da chi gestisce le cosiddette “Risorse Umane” e gli viene fatto presente che oggigiorno già il fatto di avere un lavoro deve essere considerato un privilegio e quindi un incentivo (PEOPLE FIRST!)
“In secundis” (concedetemi la licenza poetica, non ho studiato il latino) quella ancora più insopportabile è l’indifferenza tra colleghi di (più o meno) pari livello. Tutti sulla stessa barca ma nessuno disposto ad aiutare od ascoltare gli altri. Tutti presi a pensare solo a come guardarsi le spalle e talvolta, se non spesso, pronti a colpire alle spalle. Nessuno disposto a condividere ma solo a scaricare su altri compiti ed attività. Insomma, nessuno pronto a remare ma tutti pronti a buttare a mare.
L’indifferenza di come viene svolto il lavoro. A nessuno interessa se fai bene o male, se in tempo o in ritardo, se copi e incolli o se ragioni su quello che fai, e quando provi a chiedere qualche chiarimento ti viene risposto: “Si fa così, si è sempre fatto così, non porti troppe domande” quando non “non hai la categoria per pensare” o “non sei una risorsa strategica”....
Bleah! Non pensavo proprio di arrivare così disgustata da ritrovarmi a sputare nel piatto dove mangio da 25 anni.
Certo dovrei cambiare “ristorante e menù” ma di questi tempi, con l’età che avanza, tra una crisi d’identità e l’altra, ma sopratutto con la voglia che viene meno (anzi è sparita del tutto!) non è una manovra semplice da attuare.
Mah! Che dite, rimaniamo stoici come “le canne al vento” (con la più piena libertà di interpretazione) e continuiamo ad impiegarci senza spezzarci?
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